Ron Carter ad Alba Jazz 2022 con il Foursight Quartet
Per la quindicesima edizione Alba Jazz ospita il fuoriclasse del contrabbasso. E Carter con il suo quartetto sorprende ancora una volta per creatività e comunicativa
Reportage di Daniela Floris (parole) e Daniela Crevena (foto) – JazzDaniels

Alba Jazz Festival 15 edizione
Arena Teatro Sociale, 30 giugno 2022, ore 21
Ron Carter – Foursight Quartet
Ron Carter contrabbasso
Renee Rosnes pianoforte
Jimmy Greene sax tenore
Payton Crossley batteria
Alba Jazz torna con il primo concerto della sua 15sima edizione portando sul palco Ron Carter: un contrabbassista leggendario per il Jazz – non solo per la storia del Jazz. Un musicista che la strada maestra continua a tracciarla, in prima persona, e non si limita certo a ripercorrerne i tratti.
Mainstream, in questo senso, assume il senso letterale di “flusso principale”. Un flusso, che, per definizione, scorre, vigoroso, per sua stessa natura: e che, nell’arco di decenni di carriera attrae l’attenzione e l’entusiasmo costanti del pubblico.
Il pubblico, nel tempo cambia. I gusti nel tempo cambiano. Alcuni artisti rimangono in sintonia con un pubblico che si vedono mutare sotto i loro occhi. Ron Carter è uno di questi musicisti.
La creatività estemporanea, la capacità di comunicare, rende fecondo un linguaggio musicale noto, familiare. Ci sono artisti che, pur improvvisando, non fanno che riproporre lo stile di improvvisare il jazz.
Altri, come Carter, non smetteranno mai di essere jazzisti. Con il loro linguaggio, certo, ma senza vetrificare nulla. Creando, non certo riproponendo.
Con lui, tre musicisti altrettanto vitali e creativi. Renee Rosnes, strepitosa pianista, compositrice brillante; Jimmy Greene, energico, dal suono solido e cangiante; Payton Crossley, batterista di grande eleganza, presente e mai pervasivo.



My funny Valentine è stato uno dei brani proposti dal quartetto. Un brano classico, tratto dal repertorio del Jazz classico, oramai raro da ascoltare ad un concerto – perché ritenuto, appunto, troppo classico da riproporre. Forse il timore è quello di apparire scontati.
Lo cito per primo, perché, nella versione di Ron Carter e Renee Rosnes, è stato uno dei momenti più emozionanti della serata. E tutt’altro che fissato come sterile cartolina di altre epoche.
Il tema viene esposto dal pianoforte, senza alcuna armonizzazione, e non dall’ incipit, ma dalla nona battuta in poi, ovvero dalla seconda parte, trasposta, del tema. Rimane nell’aria, ancora qualche secondo, e dall’entrata del contrabbasso diventa altro. Il pianoforte indugia a lungo su un semitono ostinato, il contrabbasso segue il pianoforte, e viceversa, a volte sfiorando l’unisono, gli accordi sono al minimo. Ad un tratto, la Rosnes prosegue il suo viaggio, dolcemente digressivo, e sia lei che Ron Carter, accennano, ogni tanto, a piccoli punti cardine del brano.



Il tutto è così delicato, intenso, che non c’è il tempo di ragionare su nulla, perché viene solo da seguire il suono. Il tema di My funny Valentine si svela di nuovo solamente alla fine. Il silenzio della platea, quando l’ultimo armonico tace, si scioglie in un caldo, lungo applauso.
Altro standard eseguito, in finale, è stato You and The Night and The Music.
Ma di certo il concerto non si è risolto in un susseguirsi di standard ripetuti con il solito schema tema, improvvisazione, assoli, scambi con batteria, ritorno del tema.
Il lungo brano che apre il concerto è quasi una suite. I quattro musicisti hanno personalità molto spiccate, eppure respirano insieme, si scambiano idee, e le idee sono tante, avvincenti.
Da episodi swinganti, in cui la batteria di Crossley fa da motore propulsivo e dialoga irresistibilmente con il contrabbasso, si passa ad altri in cui il sassofono di Greene monopolizza l’ attenzione. Improvvisa su un tessuto sottostante in cui la ritmica diventa unico suono compatto, fitto, strettamente intrecciato: una base solida da cui spiccare il volo, sussurrando o gridando, perseguendo i contrasti anche con salti fulminei da note acutissime a gravissime.



Si trovano altre alternanze affascinanti, ad esempio quello in cui il quartetto passa da ballad a tango, a ballad, a tango di sedici battute in sedici battute. Uno scorrere regolare eppure difforme, in cui si gustano, letteralmente, la bellezza dei fraseggi di pianoforte e sassofono, il lirismo e l’intensità del contrabbasso, e la duttilità della batteria.

Una di queste alternanze ha ammaliato il pubblico dell’ Arena per lunghi minuti: l’altalenare tra Fra Martino Campanaro e You are my Sunshine, protagoniste del brano in solo di Ron Carter. Solo il suono del contrabbasso nel silenzio assoluto di una notte di musica davvero irripetibile.


Una nota finale: la musicista e i musicisti erano elegantissimi, bellissimi.


Come oramai ci piace fare, ecco alcune foto tratte dal sound check. Enjoy!









