Firenze Jazz Festival – James Brandon Lewis

Brandon Lewis e The Dead Lectures: Dedicated to Jean Michel Basquiat

Tutte le foto sono di ALESSANDRO BOTTICELLI
Parole di DANIELA FLORIS

FIRENZE JAZZ FESTIVAL James Brandon Lewis: The Dead Lectures – Dedicated to Jean Michel Basquiat

Firenze, venerdì 10 settembre, Sala Vanni

James Brandon Lewis, sax tenore
Silvia Bolognesi, contrabbasso
Alexis Marcelo, pianoforte


La performance subisce una variazione in corsa per indisposizione di Thomas Sayers Ellis, poeta, professore universitario, fotografo, che condivide con Lewis il gruppo  Heroes Are Gang Leaders, e che avrebbe dovuto intrecciare con la musica del sassofonista newyorkese la propria poesia (omaggiando anche Amiri Baraka).

Silvia Bolognesi con il suo contrabbasso sale sul palco insieme a James Brandon Lewis e Alexis Marcelo, dunque, e la musica comincia.
Volendo scegliere tre aggettivi che diano un’idea estemporanea del concerto di James Brandon Lewis al Firenze Jazz Festival, scelgo evocativo, potente, autentico.

Evocativo, come per alcune intro del pianoforte di Alexis Marcelo, connotate da veri e propri slanci lirici in cui gli iniziali cromatismi, che colorano l’atmosfera di una vaghezza tonale quasi onirica, atterrano via via sempre più intensamente su accordi poderosi, in un crescendo ispirato che diventa torrenziale, e come si diceva, potente.

Come potente è il suono del sax di James Brandon Lewis quando irrompe su quel pianoforte che gli ha come preparato la strada, esponendo il tema principale, e potente è l’andamento energico ma mai prevaricante del contrabbasso di Silvia Bolognesi. Nei primi cinque minuti di musica chi ascolta è trascinato, anche prima degli inserti poetici letti da Brandon Lewis, in una sorta di racconto per parole e immagini, anche senza parole: con la musica.

I momenti di improvvisazione corale hanno uno spessore sonoro imponente, e a tratti però si quietano e convergono tutti sulle frasi a voce spiegata del sax, che sembrano avere una funzione di benefico respiro, prima del successivo, bellissimo, impasto di note, accordi e battiti.

Potente ed evocativa è la voce recitante di James Brandon Lewis, durante la lettura. Come la musica è racconto, il racconto è musica. La voce parlante è musica, ed è introdotta magari da un riff ritmico che la drammatizza, le dà un colore, la incornicia, ne decritta il significato: come un sottotitolo a quelle parole.


All’ascolto ogni istante appare del tutto istintivo, naturale, autentico, nel senso di urgentemente espressivo. Il rumoreggiare magmatico del pianoforte è autentico, così come lo è il suono intenso del contrabbasso: a tratti martellante, graffiante anche di strappi improvvisi, o sorprendentemente profondo, per i poetici inserti suonati con l’arco.

E quando su Even The Sparrow Silvia Bolognesi, proprio con l’arco, cammina in unisono con il sax di James Brandon Lewis, solennemente, quarto dopo quarto, sugli accordi del pianoforte di Alexis Marcelo, la potenza evocativa della musica è tutta in quel poetico, solenne procedere di una melodia semplice, che basta a sé stessa senza alcuna aggiunta, ed è evidenziata solo dal timbro complessivo del trio.

Continuando nel difficile tentativo di una descrizione di un concerto profondamente suggestivo, ed emozionante, potenti sono le incursioni dissonanti, spezzate, muscolari del pianoforte di Alexis Marcelo, e i suoi scambi con il sax, che disarticola le melodie sconfinando in un free trascinante. Evocativa è l’atmosfera del brano in tonalità minore, dal tema iniziale intenso, di cui, colpevolmente, non so indicare il titolo, in cui il sax quasi urla a voce piena, mentre il pianoforte drammaticamente abbraccia con accordi incalzanti quella voce disperata.


Musica ispirata, autentica nell’accezione descritta sopra, e che se, come me fino al 10 settembre, non avete ancora ascoltato e visto dal vivo, vi consiglio di inserire tra gli eventi imperdibili.

Daniela Floris, JazzDanielsblog pagina fb: qui