Rebekka Bakken e la sua voce sconfinata

Vicenza Jazz: la cantautrice e interprete norvegese al Teatro Comunale con il suo gruppo e un repertorio affascinante tra folk, musica sacra, blues e altro ancora

Vicenza, 3 Luglio 2021, Teatro Comunale, ore 20:30

Rebekka Bakken, voce e pianoforte

Jørn Øien, tastiere

Johnny Sjo, basso

Johan Lindström, chitarra

Karl O. Wennerberg batteria

Rebekka Bakken e la sua voce sconfinata irrompono sul palco del Teatro Comunale, e Vicenza Jazz, grazie alle scelte del direttore artistico Riccardo Brazzale, si apre a un mondo musicale che non è il Jazz iconografico a senso unico che abbiamo pigramente in testa: Jazz è un modo di concepire la musica, non un modo unico di suonare o un genere rigido di musica. Il Jazz è spazio, tempo, curiosità, contatto tra suoni.
Dunque, e lo ripeteremo più volte, ogni Festival Jazz che presenti progetti diversi, dal mainstream a tutto ciò che preveda libertà espressiva, sarà un vero Festival Jazz.


Rebekka Bakken è una cantautrice, norvegese, dalla voce emozionante, avvolgente, possente, enigmatica, perfino. E’ anche una interprete incredibile, che ha una padronanza perfetta del suo potente strumento, ma è tutt’ altro che accademica, o allineata, o impostata in maniera univoca.
Cantando, racconta, evoca, rende vivi stati d’animo, storie, accadimenti. Per un’ora e mezzo tiene la scena con la sua voce, la sua straordinaria presenza scenica, e anche con il suo background musicale, che riporta al rock, al blues, alla musica sacra, al soul, ai cantautori americani, a Joni Mitchell, a Janis Joplin: ma mi fermo qui perché allo stesso tempo niente di tutto questo e di molto altro viene mai replicato da Rebekka Bakken.



Già da subito con la sua Closer, tratta dal suo Things You Leave Behind si impone con una personalità musicale travolgente.
Gli arrangiamenti sono affascinanti, con la batteria di Wennerberg che procede in terzine e accentua i tempi pari, la chitarra di Lindström che procede vibrando quasi come un mandolino, e l’ Hammond di Jørn Øien , che danno un sapore retro a questa ballad, che contrasta con una vocalità che sarà sempre inimitabile.

(Qui sotto il brano disponibile su Youtube)

Closer



Il concerto prosegue con Black Shades, e Rebekka canta a voce spiegata, sfacciata, ritraendosi però anche improvvisamente in pianissimo pieni di suono, in un continuo dialogo con i suoi musicisti che la assecondano, e allo stesso tempo la ispirano.



La romantica, malinconica, struggente Hotel St. Pauli dall’ inciso indimenticabile, che evoca un po’ le canzoni pop russe, avvolge il pubblico che al termine di una bellissima coda strumentale esplode in un applauso quasi liberatorio.



La sua interpretazione di Little Drop Of Poison di Tom Waits è vibrante, ironica, personalissima. Il solo di pianoforte di Jørn Øien è dolce, quasi una milonga. Il basso di Johnny Sjo costruisce da solo l’atmosfera del brano, e qui siamo quasi a Cuba, se vogliamo cercare una suggestione.



Il canto sacro, fuori dai canoni della musica europea e vicino alla vocalità de Le Mystère des Voix Bulgares è toccante, emozionante. La sola voce di Rebekka Bakken procede appoggiandosi a una lontana eco strumentale esattamente opposta a ciò che ci si aspetterebbe: non il suono da chiesa, ma distorsioni elettroniche, nel registro grave, che paradossalmente amplificano il misticismo del brano, rendendolo una vera esperienza sensoriale.

Il microfono smette di funzionare e Rebekka senza fare una piega continua a cantare raggiungendo la postazione di Johnny Sjo.

Il concerto termina tra gli applausi entusiastici di una platea incantata. Se, come noi, ancora non conoscevate Rebekka Bakken e il suo gruppo, vi consigliamo di cominciare ad ascoltarla, e appena potete di andare a vederli e sentirli dal vivo.