Il noto sito di vendita di musica online oggi azzererà le commissioni sulle vendite.
Il messaggio è stato pubblicato direttamente sul sito di Bandcamp da Ethan Diamond, il fondatore della piattaforma Bandcamp (che è una delle più vantaggiose per i musicisti indipendenti): mentre il Coronavirus si espande a grande velocità tour e concerti sono stati cancellati, e l’unica fonte di reddito per i musicisti è rimasta la vendita on line.
Per dare un contributo Bandcamp si è impegnata, venerdi 1 maggio, dalle 8 a.m. di venerdì alle 8 a.m. di sabato) a non caricare la sua percentuale sulle vendite ma a lasciare l’intera somma agli artisti.
COMPRATE SU BANDCAMP DA DOMANI ALLE 8 E PER 24 ORE!
Una proposta concreta per aiutare la filiera del jazz italiano (e non solo!)
A cura di Jazz Daniels, A proposito di Jazz, Jazzit e Jazzespresso
L’emergenza Coronavirus costringe tutti all’isolamento per un periodo di lunghezza ancora non chiara; per alcuni di noi significa “semplicemente” rinunciare alla vita sociale, ad andare a trovare gli amici o a saltare la serata in pizzeria, mentre per altri questo momento di crisi significa non avere più di che vivere. Una delle categorie più colpite è senz’altro quella dei musicisti, che hanno come unica risorsa quella dei concerti e dell’insegnamento a scuola (scuole che peraltro si prevedono chiuse per molto tempo ancora). Abbiamo avuto un’idea concreta per aiutare. Pubblicare una lista (in continuo aggiornamento) di musicisti che usano piattaforme quali Bandcamp, o Youtube, o Itunes per vendere la loro musica. Non possiamo andare ad ascoltarli? I soldi dei biglietti dei loro concerti, o di una serata al club li possiamo investire per comprare i loro dischi. È un modo per non rinunciare alla musica, ascoltandola da casa, e un (piccolo ma concreto) aiuto perché quella musica continui. Naturalmente non solo i musicisti sono colpiti: chiunque abbia idee per aiutare teatri, club, festival e vuole sfruttare le nostre piattaforme… siamo a disposizione, inclusivi come sempre. Se volete inserire i vostri lavori nell’elenco mandate una mail a eugeniomirti@hotmail.com danielafloris@gmail.com Grazie!
Un click sul link, per ascoltare la chiacchierata di Pasquale Innarella con Daniela Floris, avvenuta il 3 ottobre 2019, durante il Garbatella Jazz Festival!
Un’ intervista casereccia, on the road, in cui questo grande sassofonista ci racconta di sé e della sua musica. I suoi due cd in uscita, Go_Dex Quartet e Ayler’s Mood – Combat Joy, la sua amata Rustica X Band, la sua poetica, i locali alternativi di Roma dove fare e ascoltare musica e naturalmente il Festival Garbatella Jazz che lo ha visto direttore artistico. Click!
Terza serata e un Jazz ancora diverso, dopo la fusion e la vecchia New Orleans qui ad Alba: sul palco Rosario Bonaccorso in quartetto per presentare il nuovo cd (Via Veneto Jazz) A New Home.
Con Enrico Zanisi al pianoforte, Fulvio Sigurtà alla tromba e flicorno e Alessandro Paternesi alla batteria il concerto si inserisce in un ambito di Jazz melodico, fluido, con spazi aperti per l’improvvisazione. New Home è quasi un lavoro autobiografico, ogni brano è connotato da una dedica a persone importanti, o a eventi particolari, e Bonaccorso tiene a presentare quasi ogni brano prima di eseguirlo. Così si comincia con Re e Ro, le iniziali di Rosario e Renata, sua compagna da venti anni, o Viva Lorenzo, dedicata al nipotino di un anno e mezzo, o Ciaramell, dedicato al produttore – amico Giandomenico Ciaramella, o Waltz for George Sand, dedicato alla celebre scrittrice che fu amante di Chopin, frutto di una conversazione con la moglie Renata.
Il concerto scorre piacevolmente con brani dalla struttura armonica semplice e da temi melodici orecchiabili, base di partenza per l’improvvisazione libera dei musicisti, quasi sempre affidati alla tromba di Fulvio Sigurtà. A cambiare di volta in volta è l’incipit: può avvenire che siano a cominciare batteria e contrabbasso, come in Re and Ro. Oppure la intro è affidato al contrabbasso in solo– in realtà il contrabbasso di Bonaccorso oramai non suona mai da solo, ma sempre in duo con la voce di Bonaccorso! – come in Viva Lorenzo e Waltz for George Sand. O ancora, come in Ciaramell, è da subito la tromba ad entrare in scena, insieme alla batteria.
In ogni brano è grande lo spazio dedicato all’improvvisazione di ognuno, agli assoli. E dunque via libera alla creatività di Zanisi, ligio inizialmente al tema principale, che viene presto espanso con una grande varietà di suggestioni, da quelle contrappuntistiche al Jazz più libero, via ai fraseggi intensi e al timbro sempre più intenso e personale di Fulvio Sigurtà, via agli assoli energici di Alessandro Paternesi e alle melodie cantate con il contrabbasso di Rosario Bonaccorso. In alcuni momenti l’improvvisazione è corale.
L’ impatto su chi vi scrive
Un concerto piacevole, rilassato, scorrevole, già a partire dal tipo di brani – tutti originali – che evidentemente rispecchiano lo stato d’animo di un musicista che sente di aver raggiunto una benefica consapevolezza, di definita compiutezza non solo musicale. Questo senso di appagamento interiore del leader, fonte di energia positiva, è arricchito dall’apporto creativo di musicisti di calibro quali Zanisi, sempre più bravo al pianoforte, estroso, vitale; Sigurtà, capace di accendere con la sua tromba anche le cellule melodiche più minimali; e Paternesi, energico e inarrestabile fornitore di impulsi ritmici decisivi.
Qui di seguito le foto che DANIELA CREVENA ha scattato al sound check
Alba Jazz 2019 7 giugno 2019, piazza Michele Ferrero, ore 21:30 Fabrizio Bosso e Mauro Ottolini – Storyville Story
Fabrizio Bosso, tromba Mauro Ottolini, trombone Vanessa Tagliabue Yorke, voce Paolo Birro, pianoforte Riccardo Di Vinci, contrabbasso Paolo Mappa, batteria
Questo report comincia dal centro del concerto, per la precisione dall’ ottavo brano. Paolo Birro, pianista, suona da solo sul palco. Paolo Birro è un fuoriclasse del pianoforte: l’ho ascoltato più volte suonare in contesti di organici piuttosto poderosi, come la Lydian Sound Orchestra diretta da Riccardo Brazzale, o come in questo caso nelle band di Mauro Ottolini: il suo apporto, per creatività, padronanza dello strumento, tocco, mi è sempre parso determinante, originale, così come mi sono apparsi notevolissimi i suoi assoli. In stile: siamo in un contesto di ricostruzione storica del Jazz della New Orleans dei primi anni del 900, quasi musica classica, se vogliamo – con tutto che l’improvvisazione, anche se in stile, rimane comunque improvvisazione, composizione estemporanea. Dinamiche perfette, congrue,ad un periodo storico preciso del jazz: ma tali dinamiche (i passaggi dal piano al forte, gli accenti, le intenzioni, per essere più chiari) nella loro essere ineccepibili, hanno personalità, non sono scontate, non te le aspetti. E poi il tocco, che nel pianoforte è tanto importante poiché aspetto caratterizzante di ogni pianista da un certo livello in su, così importante da aver meritato delle vere e proprie classificazioni che ne prevedono una gamma dal duro e metallico all’impressionista (semplificando, non me ne vogliano i puristi), e che in Paolo Birro è particolare: potente, ma garbato, poetico ma rigoroso, ricco, in questo caso unito ad una tecnica ferrea non importante in sé stessa ma poiché asservita ad una espressività particolarmente intensa.
Insomma un musicista notevole, da ascoltare con attenzione, senza lasciarsi sfuggire nulla del suo suonare .
Storyville Story, questo è il nome del progetto di Mauro Ottolini con Fabrizio Bosso, è, come accennato, un salto nel Jazz della New Orleans dei primi anni del Novecento. Mauro Ottolini ha recuperato brani noti, e meno noti, alcuni quasi dimenticati, ri -arrangiandoli per quintetto + voce. Un vero e proprio spettacolo musicale, che parte subito con grande energia, tenuto conto anche che sul palco ci sono musicisti che con i loro strumenti sanno fare davvero di tutto, e possono permettersi di replicare alla perfezione uno stile così connotato, nonostante ognuno abbia il proprio personalissimo modo di fare musica.
Il primo brano è in quintetto e delinea l’atmosfera e la struttura voluta da Ottolini in questo particolare contesto. Presentazione del tema ad opera di tromba e trombone, che procedono insieme sdoppiandosi tra unisoni e due voci, struttura armonica tradizionale tutelata con perseveranza senza digressioni– come è giusto che sia in ambito di ricostruzione esatta di uno stile del passato – improvvisazione libera nel senso di non scritta, ma rigorosamente nei canoni di un Jazz che ovviamente ancora non aveva conosciuto nemmeno il bebop.
Al secondo brano entra in scena la potente voce di Vanessa Tagliabue Yorke, cantante che da sempre non cura solo lo studio della voce, ma anche, in ogni particolare, le movenze, la presenza scenica, ogni piccolo gesto abbinato ad ogni nota emessa. La sua vocalità è vigorosa e si intreccia con le possenti voci di tromba e trombone dei due fuoriclasse Bosso e Ottolini. La semantica dell’atmosfera di New Orleans è riprodotta fedelmente da Bosso e Ottolini, che danno fondo ad un vasto repertorio di suoni da virtuosi quali sono (gridi, glissando, barriti, fraseggi, dinamiche a contrasto). Con loro la batteria di Paolo Mappa, stilisticamente impeccabile, il contrabbasso intenso e rigoroso di Riccardo Di Vinci, che detiene l’impalcatura strutturale di tutto, e il pianoforte di Paolo Birro, di cui si parlava all’inizio.
Tra un Nobody knows you e un St. Louis Blues il quintetto si dipana tra obbligati perfettamente quadrati, assoli funambolici di Bosso e Ottolini, momenti poetici – le intro di Birro – , i virtuosismi vocali di Vanessa Tagliabue Yorke e un dialogo serrato tra musicisti che rende evidente il durissimo lavoro preparatorio a monte di uno spettacolo (non solo un concerto) che ha acceso una piazza via via sempre più gremita.
L’ impatto su chi vi scrive
Arrangiamenti inappuntabili, Mauro Ottolini istrionico e allo stesso tempo rigoroso, Fabrizio Bosso sempre più eclettico e tecnicamente sbalorditivo, Paolo Birro intenso e prezioso: con Vanessa Tagliabue Yorke, Riccardo Di Vinci e Paolo Mappa il risultato è un concerto/spettacolo divertente, scoppiettante, molto adatto ad uno spettacolo in piazza nel quale un pubblico vario – dai bambini di due in su – ha potuto assistere ad un pezzo di storia del Jazz. Magari la storia della musica la si potesse imparare, sempre così. Qui di seguito gli scatti di Daniela Crevena durante il sound check!
Russell Ferrante, pianoforte Bob Mintzer, sax Dane Alderson, basso elettrico Will Kennedy, batteria
L’ Associazione Amici di Alba Jazz e il direttore artistico Fabio Barbero scelgono una fusion di alto profilo con un gruppo storico. Gli Yellowjackets sono sulla scena dagli anni 70 e il motivo è semplice: sono coinvolgenti, suonano benissimo e sanno come catturare l’attenzione di chi li ascolta, in una parola sanno tenere il palco. E in effetti già dal primo brano il clima della serata si esplicita chiaramente , con il pianoforte di Russell Ferrante che disegna un tipo di sonorità energica, piena, fatta di armonie ben definite unite al virtuosismo di quattro ottimi strumentisti.
Il quartetto si scompone e si ricompone continuamente, sviluppando idee che nascono alternativamente da pianoforte, sax (acustico ed elettronico), basso, batteria. Un’idea la si può inizialmente ascoltare attraverso un unisono tra sax e basso, mentre il pianoforte ne definisce armonicamente l’ambito e la batteria decide il groove giusto: ma dopo poco si compone un trio in cui il sax tace – e allora la stessa idea (cellula melodica, ostinato, citazione, possono essere tante le possibilità) diventa meno evidente impastandosi tra accordi e improvvise omoritmie tra pianoforte e batteria, mentre il basso fa il suo lavoro di impalcatura armonica.
Poi accade che il pianoforte diventi torrenziale e prevalga su tutto fino a quando il quartetto non si ricostituisce nella sua interezza, intensificando i volumi e la timbrica totale. Un assolo molto suggestivo, con Dane Alderson rimasto solo sul palco, catalizza l’attenzione sul suono singolo del basso elettrico e degli effetti dopo un brano particolarmente veloce e di spessore sonoro imponente: improvvisamente si ascolta la voce dello strumento e si sente anche improvvisamente il silenzio che la circonda, che è esso stesso, paradossalmente suono. Dopo diversi minuti di atmosfera quasi surreale, Alderson richiama con un riff accattivante gli altri sul palco, e si rientra nell’ambito Yellow Jackets.
Durante tutto il concerto Will Kennedy fa un lavoro prezioso con la sua batteria. Decide il groove. Ha un drumming intenso, potente, ma tranquillo, crea una tensione irresistibile, benefica, è decisivo, non deflagra mai: eppure dà impulsi irresistibili. E’ ferreo, suona quasi sempre ad occhi chiusi, concentratissimo, sembrerebbe stare in un suo mondo, e invece compie un ascolto raffinato, e coglie ogni sfumatura di ciò che accade sul palco.
L’ IMPATTO SU CHI VI SCRIVE
Non ho una passione per la fusion, in generale, né per i Yellow Jackets in particolare, nonostante li abbia apprezzati, molto semplicemente, per la loro bravura come musicisti, e innegabilmente alcuni loro brani nel tempo abbiano attratto la mia attenzione. Devo dire però che questo loro concerto dal vivo, il primo per me, mi ha coinvolta per diversi motivi. La capacità di variare la composizione del gruppo, di cambiare registro (dal funky, al gospel, al jazz, all’insieme di tutto); quella di giocare con le idee reciproche ottenendo un sound divertente, piacevole, curato e rigoroso; gli assoli (in particolare quelli di Dane Alderson e di Will Kennedy), e il drumming particolare di quest’ultimo; l’energia di Bob Mintzer e di Russel Ferrante nel proporre temi che da semplici, sia melodicamente che armonicamente, diventano interessanti proprio per la capacità di confezionarli, proporli, colorarli; tutto questo ha reso il concerto interessante, piacevole e davvero molto divertente.